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A 21 Minuti le ricerche di Tali Sharot sull’ottimismo del cervello: vantaggi e rischi per la salute


Uno dei più importanti insight prodotti dalle neuroscienze negli ultimi anni è senza dubbio la scoperta di quanto la capacità di immaginare ci caratterizzi come specie e abbia fatto la differenza nella nostra evoluzione. La capacità di astrarci dai dati presenti ai nostri sensi in un dato momento è ciò che ci differenzia dagli altri animali, ovvero la nostra capacità di pensiero astratto. La capacità di immaginazione è una funzione del nostro cervello che è normalmente attiva anche in modo non intenzionale. Diversi ricercatori hanno sostenuto che l’attività principale del nostro cervello sia esattamente immaginare il futuro che ci aspetta. Sappiamo anche che, per rappresentare il futuro, il cervello ricorre alle stesse aree che sono addette all’immagazzinamento dei ricordi. Dunque, il cervello utilizza il passato per costruire l’immagine del futuro, ma questo stesso processo può avvenire in modo automatico o consapevole e questo fa una grandissima differenza.


Nel suo intervento a 21 Minuti, Tali Sharot, oggi docente di neuroscienze cognitive all’University College London e al MIT, ha illustrato come abitualmente il cervello tenda a immaginare scenari positivi per il futuro, attivando soprattutto una parte del lobo frontale, la corteccia cingolata anteriore rostrale – in sigla RACC – che regola le aree profonde nel cervello coinvolte nella motivazione e nelle emozioni. Sharot e i colleghi hanno osservato come, nei casi di depressione il RACC e le aree profonde legate alle emozioni non comunicano in modo efficace.


Statisticamente, il dato emerso dalla ricerca è che, in condizioni ordinarie, gli individui tendono ad aspettarsi che il futuro sia leggermente migliore di quello che sarà effettivamente; le persone che soffrono di una lieve depressione sono più realistiche nel prevedere i risultati futuri; mentre quelle che soffrono di depressione grave, tendono ad avere un pregiudizio pessimistico.


Quindi è probabile che senza almeno un po’ di ottimismo – afferma Sharot – tutti noi saremmo un po’ depressi, poiché l’ottimismo sembra custodire la nostra salute mentale, ma non solo la nostra salute mentale, anche quella fisica. Gli ottimisti hanno dimostrato di essere più sani e di vivere più a lungo.


Secondo un’altra ricerca nella stessa direzione su 100.000 donne di età compresa tra i 50 e i 65 anni, a parità di condizioni iniziali, le donne ottimiste avevano il 30% di probabilità in meno di morire per arresto cardiaco rispetto a quelle che esprimevano una visione pessimista. Altri studi hanno confermato la stessa tendenza nei soggetti maschi.


La ricerca di Sharot si è, quindi, concentrata sull’individuare le modalità con cui l’ottimismo fa bene alla salute. Due sono le ipotesi elaborate per rispondere a questo quesito. La prima riguarda l’aspettativa verso il futuro. Quando ci aspettiamo eventi positivi nel nostro futuro, lo stress e l’ansia si riducono con notevoli effetti benefici per la nostra salute. La seconda ipotesi è che se ci aspettiamo di essere sani, abbiamo più probabilità di compiere le azioni necessarie per essere effettivamente sani. Infatti, è stato dimostrato che c’è una probabilità più alta che gli ottimisti seguano i consigli medici e che mangino in modo più sano.



Quindi, l’ottimismo agisce un po’ come una profezia auto-avverante – conclude Sharot – Se ci aspettiamo eventi positivi, siamo motivati ad agire in modo da generare quegli eventi.

La ricercatrice ci avverte che c’è, però, anche un rovescio della medaglia. Gli “occhiali rosa” del cervello, ovvero il pregiudizio positivo, può portarci a sottovalutare i rischi per la nostra salute. Nei loro studi, Sharot e colleghi hanno confrontato le aspettative dei partecipanti con i dati statistici relativi a diverse malattie. Lo scopo dell’esperimento era testare la nostra capacità di apprendere dai dati riguardo la nostra salute e i rischi per essa. Ne è emerso che tendiamo ad acquisire più facilmente i dati quando questi si conformano ad un’aspettativa positiva, ed a rifiutarli quando ci sono avversi. Ad esempio, se il dato statistico riguardo il rischio di una certa malattia è migliore di quello che ci aspettiamo, la nostra previsione migliora in accordo col dato. Se, invece, ci viene presentato un dato statistico secondo il quale abbiamo maggiori possibilità di ammalarci di quel che credevamo, allora la nostra previsione non peggiora in accordo con il dato, ma in misura molto minore.


Si tratta di indicazioni molto preziose per migliorare la nostra capacità di prefigurare che, per essere efficace, deve sempre basarsi sui dati di fatto e, a partire da quelli, produrre scenari sostenibili. La neuroscienza ci conferma che l’ottimismo è uno strumento molto potente per la nostra salute mentale, ma anche che richiede auto-consapevolezza per divenire uno strumento efficace nelle nostre mani.


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